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Il pensiero di Don Milani a cento anni dalla nascita
Il pensiero di don Milani a cento anni dalla nascita
Nella settimana dedicata all’educazione, i centri culturali Tommaso Moro e Giorgio Ambrosoli, col patrocinio del Comune di Basiglio, hanno organizzato un incontro di grande spessore, presso il Polo Culturale il Mulino di Vione, nel ricordo dell’insegnamento pedagogico di don Milani.
Partendo dalla nota frase “I care” (“mi sta a cuore”, “mi interessa”), scritta sul muro d’ingresso della scuola di Barbiana, contrapposta a “me ne frego”, “non mi importa”, che riassumono
l’atteggiamento di disimpegno di una parte dei giovani e meno giovani, si sono confrontati Giovanni Cominelli, esperto di politiche scolastiche, e Giuseppe Polistena, filosofo ed ex dirigente scolastico.
L’incontro è stato introdotto da Giovanni Monaco, mentre Rosetta Cannarozzo e Gabriele Pugliese hanno fatto da moderatori.
Il primo intervento ha visto protagonisti Gaia, Mario e Lorenzo, tre ragazzi della scuola media di Basiglio, che in rappresentanza della loro classe hanno esposto un approfondimento sulla
biografia di don Milani e sull’esperienza educativa sperimentale della scuola di Barbiana, che si riflette nella celebre ‘Lettera a una professoressa’, pubblicata nel 1967. Come noto, il testo è frutto
di una scrittura collettiva e mette in discussione le molte contraddizioni della scuola italiana.
Comincia quindi il dibattito, introdotto da Rosetta Cannarozzo, che domanda se una scuola che non bocciava, teneva a scuola i ragazzi tutto il giorno, personalizzava l’insegnamento, focalizzava
l’attenzione sul linguaggio, si potesse presentare come un modello ‘esportabile’.
Secondo Giuseppe Polistena, sarebbe più appropriato parlare di ‘messaggio’, esperienza paradigmatica che va contro una scuola selettiva, risalente alla riforma Gentile e in parte ancora presente.
Giovanni Cominelli, dopo una sintesi storica della scuola italiana da Gabrio Casati, sottolinea l’idea di personalizzazione dell’istruzione come elemento fondamentale della pedagogia di don Milani: la scuola è di tutti se è di ciascuno. Purtroppo la scuola italiana, e non solo, non è in grado di essere a misura delle esigenze dei singoli e ciò crea altissima dispersione.
Gabriele Pugliese chiede in che misura l’esperienza della scrittura collettiva sia stata ripresa, o osteggiata, dalla scuola attuale.
Giuseppe Polistena rileva che l’autonomia scolastica consente di sperimentare varie tipologie di scrittura; manca tuttavia un vero progetto di riforma scolastica, anche a causa del succedersi di
ben 72 ministri dell’istruzione dal ’48 ad oggi.
Giovanni Cominelli centra l’attenzione sull’analfabetismo funzionale, infatti i ragazzi usciti dalla scuola media hanno difficoltà a comprendere il contenuto di un articolo di giornale e non sanno scrivere correttamente. Il problema della scuola è soprattutto legato alla lingua: se perdiamo la lingua perdiamo la civiltà, la lingua è l’essenza del nostro essere cittadini. I ragazzi devono leggere la nostra grande letteratura e scrivere di più.
Gabriele Pugliese collega il pensiero di don Milani al tema della guerra e della obiezione di coscienza, da lui fortemente promossa, in quanto riconosceva come uniche ‘armi’ accettabili
lo sciopero e il voto. I ragazzi di Barbiana scrivono in tal senso Lettera ai cappellani militari, che verrà osteggiata e costerà a don Milani un processo per apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile.
Il tema del rapporto del ‘prete di Barbiana’ con la fede e con la gerarchia ecclesiastica anima l’ultima parte dell’incontro. Nel 2017, Papa Francesco visita la scuola di Barbiana e sottolinea la
piena fedeltà al Vangelo del suo fondatore, che pone nella dimensione sacerdotale, ed ancor più nella fede, la radice di tutto quello che ha fatto, nonostante i rapporti non facili con la Curia e
in generale con la gerarchia ecclesiastica.
Il dibattito si apre alle domande dei presenti. In particolare, Mario Traxino ricorda che nelle assemblee studentesche del ’68 spesso cattolici e laici, o addirittura atei, condividevano posizioni
e valori di riferimento: come era possibile? Risponde Giovanni Cominelli che il vero valore condiviso è il primato assoluto dell’uomo, fondamento del Cristianesimo e ancor prima, come
sottolinea Giuseppe Polistena, della cultura greca.
A conclusione, l’intervento del nostro don Luca, che fa sintesi ribadendo il valore della parola e l’interesse per gli ultimi e gli indifesi, che stanno al centro del pensiero e dell’opera di don Milani.
Si aggiunge Giusi Sposato, che ricorda come don Milani avesse a cuore l’istruzione delle bambine e delle ragazze, come strumento di emancipazione.
Non è facile parlare di scuola, ma in questo incontro lo si è fatto con serietà e passione, offrendo spunti di riflessione e di approfondimento.
Il laico cristiano dei tempi nuovi di Matteo Perrini
Thomas More ed Erasmo da Rotterdam si incontrarono per la prima volta a un pranzo del Lord Mayor di Londra nell’estate del 1499. More aveva allora ventidue anni, Erasmo una decina di più, e fu subito amore a prima vista. I due differivano in tutto, o quasi: per l’ambiente in cui erano cresciuti, per l’educazione ricevuta, per il temperamento che si portavano appresso; ma quando s’incontrarono, scoprirono le loro affinità elettive e l’uno diventò all’altro insostituibile e prezioso.
Cerchiamo un po’ di Tommaso Moro in ognuno di noi di Federica Chiavaroli
Riflettendo sul discorso tenuto dal Santo Padre, Benedetto XVI, alla Westminster Hall il 17 settembre 2010, ho constatato la straordinaria attualità della vicenda di Tommaso Moro. La sua figura oggi rappresenterebbe di per sè un ossimoro, una contraddizione in termini: un Politico Santo. In questo momento, nel quale demagogia, populismo e sentimenti di antipolitica dominano il nostro Paese, accostare la figura di un politico alla santità è quanto di più distante possa esserci dall’opinione comune. E proprio per questo, riflettere sulla figura di Tommaso Moro è ancora più utile, in quanto è testimone della irrinunciabilità della libertà di coscienza ed insieme della responsabilità di un uomo di stato.
«Passio» secondo Tommaso Moro di Monsignor Gianfranco Ravasi
Passa in tv un modesto (e quindi pettoruto e arrogante) politico e m’accorgo che proclama con autocompiacimento: «Non sono un uomo per tutte le stagioni». Il misero è convinto, con questa professione di coerenza, di celebrare la sua cristallina identità; egli ignora che «uomo per tutte le stagioni» era, in realtà, la solenne epigrafe che Erasmo da Rotterdam aveva assegnato a un altro politico, questa volta grande, modesto (in ben altro senso) e veramente coerente, cioè Tommaso Moro. Anzi, fu proprio quella definizione a diventare nel 1966 il titolo di un film straordinario di Fred Zinnemann, A Man for All Seasons, con un cast “stellare”, dal formidabile protagonista Paul Scofield a Orson Welles, da Vanessa Redgrave a Susanna York, da Nigel Davenport a Robert Shaw, e con un bottino finale di cinque Oscar.